Lun. Nov 25th, 2024
a cura del Prof. Franco Delfino Cosimo

" a varviria " e "u varviari "

Tra i luoghi d'incontro della nostra comunità, fin dagli anni del primo 
ottocento, la bottega del barbiere ( varviria ) rappresenta,
dopo la chiesa, quello più idoneo per apprendere notizie e scambiare opinioni.
Ciò accade anche nel nostro Comune,dove, nei primi anni del novecento se 
ne contano quattro.
Ricordiamo il famoso detto: " a varviria è nu postu duvi i rijhi (orecchie) 
su jhiu' importanti i l' uajhi “. 
Prima di focalizzare il nostro interesse sulla figura del barbiere (varvieri, 
persona emblematica e degna di ogni attenzione, è il caso di puntualizzare 
sinteticamente l'origine etimologica e storica di questa piccola famiglia di parole: 
" varva, varviari , varveria ".

Tutte derivano dal latino "barba"
Come abbiamo avuto modo di notare in altre analisi, nel linguaggio dialettale si è 
sostituita alla " b “ la " v ".
La parola, dal latino, col trascorrere dei secoli, è presente in ogni epoca.
I primi arnesi utili per tagliare la barba sono pietre affilate; risalgono all'età 
preistorica o etrusca.
Successivamente le forme di rasoi sono in ferro e in rame.
Cesare ed Augusto considerano una trascuratezza non avere il volto ben 
rasato ogni giorno.
Seneca in "de brevitate vitae" afferma che la bottega del barbiere è un luogo 
d'incontro per oziosi.
Molti pittori del secolo di Augusto ne fanno oggetto dei loro quadri.
Ammiano Marcellino, storico e ufficiale romano, vissuto nel IV secolo d.C. afferma, 
invece, nella sua opera: " Rerum gestarum libri XXXI" che gli Unni " ai fanciulli, 
appena nati, tagliano col ferro le guance, perché le cicatrici impediscano alla 
barba di spuntare"
Nella Bibbia, Samuele (2,10), parlando del conflitto che si scatena tra gli Israeliti e 
Ammoniti, riferisce che il re Canun, ai messaggeri del re Davide, fa tagliare loro a metà 
la barba e le vesti, un atto di sfida e di grande umiliazione, essendo la barba segno 
di virilità e la veste di dignità.
In Dante, troviamo la parola citata nel canto VI vv.16 e nel XII,vv.78, ma anche nel 
Purgatorio (canto XXXI).
Fino ai secoli VII e VIII il barbiere continua a mantenere il suo prestigio di uomo 
raffinato e colto, non solo per la cura della barba e dei capelli, ma diventa creatore 
di parrucche teatrali, richieste anche dalla borghesia, per gli incontri di festa.
La sua fama si è già ampiamente diffusa perché nella sua bottega estrae i denti , 
spesso con molta perizia.
Non possiamo fare a meno di ricordare "Il barbiere di Siviglia", notissima opera di 
Rossini, che lo considera il "factotum della città "!
Tornando alla nostra comunità, c'è da dire che " i varvieri "
hanno goduto sempre di molto rispetto e diffusa considerazione.
Persone molto dignitose e ricche di carisma.
" A varviria " è stata il luogo dove si facevano gli incontri più interessanti e più proficui.
La saggezza degli anziani , che si manifestava con racconti, episodi di vita vissuta , 
riguardanti spesso le guerre mondiali , ha certamente impresso il suo "valore" 
sui giovani, che ascoltavano con interesse.
" A varveria " è stata una vera fucina di cultura.
" U varviari", il protagonista.
In tempi particolarmente difficili, dopo le guerre mondiali, ecco come si pagava :
con il pagamento a grano, in abbonamento annuale, che si concludeva in estate 
a raccolto avvenuto.
Per i clienti, in genere fare la barba costava 100 lire, il taglio dei capelli 200 lire.
Per il pagamento a grano si pattuita con il cliente un quantitativo, che era diverso, 
in relazione a quante volte intendeva fare la barba alla settimana e a quante volte 
accorciare i capelli, al mese.
" u tumaluru o " tumulu "(50 kg), u mezzarulu (25 kg) e u quartu "(12,50 kg) erano 
le misure allora in uso che il barbiere riceveva per la sua opera.
Non era previsto " u stuppieddru" (6,31 kg).
In realtà, il peso variava in base al peso specifico dell'alimento.
L'orzo, le fave, l'aveva avevano un peso inferiore al grano, che era quello prediletto 
per la paga.
Pochi i paganti, per lo più qualche impiegato, maestri e alcuni benestanti.
Così si concludeva l'anno, ma restava sempre impresso nella mente di tutti: " 
si voi sintiri novelle, duvi u varviari si ni sentano belle"! (Se vuoi sentir novelle , 
dal barbiere se ne dicono di belle)"!

Di quellinatiaroccadineto

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